Riflessioni sul Tempo

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La parola “tempo” non sempre risuona in modo neutrale nella nostra mente. Per molte persone, parlare di tempo spesso significa schiudere scenari scottanti, dove tutto è in movimento, tutto scorre e trascorre senza rimedio, tutto si trasforma, invecchia, si perde in una corsa inarrestabile verso la fine di ogni cosa ; in ultima analisi, verso la morte. Per altre persone, invece, il concetto di tempo è sinonimo di avventura, di apertura al possibile, di lussureggianti orizzonti in grado di svelare meraviglie, inaspettati paradisi, mondi sconosciuti degni della instancabile curiosità di Ulisse.
Il tempo, nella sua ambigua configurazione bifronte, può dare tanto, ma tanto può anche togliere. Forse è proprio questa sua “dualità” che lo rende anche ricco di fascino. Sicuramente, però, da qualunque prospettiva lo si guardi, esso è e rimarrà sempre la dimensione più autenticamente umana, che ci differenzia da altre specie animali. Il tempo è come un magico indumento invisibile, che indossiamo fin dalla nascita e del quale non potremo mai spogliarci, se non alla conclusione dei nostri giorni.
Vincere il tempo, fermarlo, aspirare all’immortalità, conservare un’eterna giovinezza è stato spesso un desiderio che ha ispirato la fantasia di molti grandissimi poeti e scrittori : si pensi anche soltanto al “Faust” di Goethe. Ma non è puro caso, o semplice finzione che tale sogno si sia sempre coniugato con il peccato, o con il superamento trasgressivo degli umani limiti mediante un terribile “patto col Diavolo” denso di tragiche conseguenze. Dal tempo non potremo mai uscire, se non in sogno o con un ardito quanto disperato sforzo di fantasia.
Eppure, se il tempo è una prigione, dorata o grigia che sia, esso è anche una componente essenziale del percorso di civilizzazione dell’uomo, cioè della sua graduale liberazione dal dominio spietato degli istinti animali.
L’istinto è una dimensione essenzialmente “atemporale”, dominata dalla legge del “tutto e subito”, o, come vuole Freud, dall’esclusivo “principio di piacere”. Ad esempio, la pulsione della fame, ad un semplice livello istintuale, mette in azione meccanismi di ricerca di “oggetti commestibili” che non prevedono “dilazioni” o rinvii, o inutili attese, ma sono dominati solo dalla “avidità immediata”, che potrà essere “saziata” solo quando verrà catturato un oggetto in grado di colmare la sensazione di mancanza che la pulsione della fame aveva suscitato. Lo stesso dicasi di altri istinti, quali il sesso, la possessività, l’aggressività ed altro.
La traiettoria degli istinti è dominata esclusivamente dalla dinamica delle “leggi di natura”, che sono automatismi miranti alla salvaguardia delle specie viventi, anche mediante la darwiniana “selezione naturale”.
Ma se tutti gli organismi viventi – e parliamo soprattutto dell’Uomo – fossero rimasti confinati esclusivamente nel mondo degli istinti, non vi sarebbe stato progresso, non vi sarebbe stata civiltà, non vi sarebbe stata società civile, e le uniche leggi associative sarebbero state quelle rudimentali del “branco” o della “orda primitiva” come Freud denominò i primi aggregati umani.
Ora, noi sappiamo ormai bene che fra gli animali cosiddetti “superiori”, ad un certo punto l’uomo ha iniziato a “distaccarsi” dall’ineluttabilità primordiale dell’istinto, per seguire nuovi percorsi nel rapporto con la realtà e con la vita : percorsi creativi, capaci di trasformare la primordialità degli istinti in energie nuove, assoggettate a strategie razionali in grado di permettere di “ripensare” il rapporto con il mondo circostante non più in modo passivo e sottomesso alle leggi della natura, ma in maniera attiva, secondo criteri operativi atti a riorganizzare il rapporto con la realtà “umanizzandola”, cioè intervenendovi per rendere più sicura e più agevole la vita umana. Sappiamo che tali conquiste sono state rese possibili dal graduale sviluppo nell’uomo della razionalità, del linguaggio, della capacità di “vedere” negli oggetti della natura “strumenti” da usare e combinare in direzioni sempre nuove e imprevedibili : tutte funzioni che già Freud attribuiva ad una “istanza superiore”, assente, o quasi, nelle altre specie viventi, che egli denominò “Io”.
L’Io è il grande, duttile mediatore fra la “cecità” dell’istinto e l’adattamento alla realtà. Nell’Io risiedono tutte quelle “strategie” che “smorzano”l’irruenza dell’istintualità e che permettono di “civilizzare” l’esclusivo “principio di piacere” dominato dalla ferrea legge del “tutto e subito”, facendolo dialogare col “principio di realtà”, che richiede “patteggiamenti” fra ciò che è possibile, lecito, e ciò che non lo è.
Ma se il buon senso e la razionalità sono fra le principali funzioni strategiche che si sviluppano nell’Io, proprio il “senso del tempo” diviene ben presto uno dei più preziosi “alleati” della razionalità.
Se la ragione ed il buon senso, infatti “frenano” l’intransigenza degli istinti, è il senso del tempo che permette all’Io di compiere tutti quei “movimenti” aggiuntivi che rimodellano, umanizzano e rendono socialmente accettabili le pulsioni istintuali : tali sono, ad esempio, la capacità di attendere, di sostituire, di rinviare, di spostare, di sublimare, di trasformare, di ridimensionare, di costruire nuovi fini, di aprire nuovi orizzonti alla vita individuale e sociale. Tutti “fermenti” e “premesse” di civiltà e di progresso, che si “coniugano” nel tempo e che, in assenza di questa preziosissima dimensione, avrebbero lasciato l’Umanità a zoppicare, smarrita, nella selva oscura e primitiva dell’ignoranza.
In tal senso, il Tempo, pur con tutte le sue ambivalenze e le sue contraddizioni, è la vera porta magica che da sempre ha permesso all’Uomo di evolversi e di civilizzarsi, in un percorso sempre denso di novità, che forse non avrà mai fine.

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