Nel suo immortale romanzo “L’idiota”, Dostoewkij fa pronunciare al protagonista Principe Miskin una frase potentemente suggestiva, che è apparsa spesso enigmatica al vaglio della critica e, soprattutto, di quei lettori che, come me, ne hanno sempre avvertito il profondo fascino : “La Bellezza salverà il mondo”.
A quale Bellezza voleva alludere Dostoewskij? Forse voleva riferirsi all’idea del Bello, di cui parla Platone nei suoi dialoghi? Un ideale metafisico, difficilmente raggiungibile da parte di chi, come noi, non possiede “ali” sufficientemente “sapienti” per volare così in alto. E poi, in quale senso questa Bellezza “salverà” il mondo? Platone diceva che tutto ciò che é Bello o che si avvicina all’idea della Bellezza è anche Buono. Allora, forse, Dostoewskij voleva dire che quando, e se, l’Umanità praticherà il culto della Bellezza, tutti vivranno in pace e in armonia, non vi saranno più guerre, e il lato oscuro e violento dell’animo umano sarà destinato a scomparire? Nobili inviti ; non certo di facile, se non addirittura di impossibile attuazione. Ma il Principe Miskin, e, dietro di lui, ovviamente, Dostoewskij, erano soltanto degli inguaribili utopisti, completamente fuori della realtà? Oppure quella frase racchiude una sorta di “provocazione” che ancora oggi può essere di piena e scottante attualità per ciascuno di noi?
Non voglio addentrarmi nei complicati labirinti delle astrazioni filosofiche, così distanti dall’immediata quotidianità. Decido di partire, invece, dalla mia personale realtà di tutti i giorni.
E’ difficile che ogni mattina io mi alzi dal letto senza ascoltare alla radio qualche brano di musica : questa abitudine mi permette di propiziarmi la giornata, proprio come, per molte persone può fare la classica tazzina di caffé. Oggi, il mio primo ascolto mattutino mi regala una canzone di Dolcenera : “Ci sono momenti che pensi alla vita ed altri in cui credi che è proprio finita. Ti senti fragile, qui, dove quello che conta è quello che senti. E sentire com’è straordinaria la vita, con i suoi segreti, i sorrisi, gli inganni. Com’é straordinaria la vita, che un giorno ti senti come in un sogno e poi ti ritrovi all’Inferno. Com’è straordinaria la vita, che non si ferma mai, non si ferma mai….”.
Le parole di questa canzone, pur nella loro semplice configurazione, risuonano a lungo dentro di me come un invito a riflettere, ed io mi trovo a chiedermi per tutta la mattinata se la vita sia veramente straordinaria, oppure in che modo la si possa rendere tale. Nel pomeriggio ricevo una drammatica e-mail da parte di una mia conoscente, che mi commuove fino alle lacrime.
Coincidenza? Non so : si tratta di una donna colta, molto gentile, che mi esprime tutta la sua riconoscenza per ciò che talvolta scrivo, svelandomi che le mie parole le sono spesso di grande conforto per sostenere meglio un peso durissimo che grava sulla sua vita : la tremenda perdita di una figlia in un incidente stradale. Questa rivelazione scatena subito un turbine di emozioni contrastanti dentro di me, ed il ritornello sulla straordinarietà della vita si trasforma lentamente in un canto funebre che mi richiama alla mente scenari di dolore miei ed altrui. Penso al travaglio dei miei parti, alle mie urla di dolore durante la nascita delle mie figlie ; poi il mio pensiero va alle urla di mia nonna Maria, quando, nel lontano 1979, le arrivò la notizia della morte di mio zio Rosario in un tragico incidente sul lavoro ; quindi, come in un mesto corteo, sfilano nella mia mente tutti gli altri dolori che hanno costellato la mia esistenza, quella dei miei cari, dei miei amici, del mondo intero, ed infine mi chiedo, delusa : ” Ma è poi davvero così straordinaria la vita? E dove è la Bellezza?”.
Ecco una giornata iniziata all’insegna della gioia di vivere che si rovescia repentinamente nel suo contrario, in un sentore di morte e di dolore, lasciandomi sconvolta e smarrita. Scopro improvvisamente che tutto scorre come su di un filo sottile di rasoio, ambiguo e perverso, sul quale siamo condannati a camminare e a ferirci continuamente, in una eterna altalena fra sorriso e sofferenza, fra Vita e Morte. Invano cercheremo di separare in maniera univoca questi due poli entro i quali si svolge fatalmente il nostro vivere : l’aspirazione alla Felicità sarà sempre esposta ad un inesorabile scacco, e il Dolore, come un burbero Orco maligno, ne deturperà costantemente la purezza.
Ma sono soltanto queste amare considerazioni, di leopardiana memoria, che dovranno concludere mestamente la mia giornata? Ad un certo punto vengo presa da un sottile senso di “ribellione” e, soprattutto, mi sembra che le mie riflessioni siano parziali ed incomplete, come se mi fossi limitata a cogliere solo la nuda superficie delle cose. Noi siamo abituati a classificare la realtà sempre in maniera semplicistica ed univoca, considerando la Vita come un bene da seguire “spensieratamente”, e la Morte come un male, anzi, il “Male” per eccellenza, dal quale fuggire come dalla più orrenda delle sciagure. E’ giusto, mi chiedo, questo “stile” di pensiero “duale”, che separa nettamente il Bene dal Male, i Buoni dai Cattivi, l’Amore dall’Odio, la Felicità dal Dolore, il Bello dal Brutto e così via, all’infinito….? Oppure è proprio questo continuo intreccio dialettico di opposti a costituire il vero “midollo” dell’esistenza, in un continuo “dare” e “togliere”, e poi, ancora, “ridare” e”ritogliere” in una apertura costante al Possibile, all’Ignoto, al Mistero? Che cosa è, mi chiedo, quella forza che porta la mia corrispondente a sostenere la terribile sofferenza per la perdita della figlia, trovando nelle mie parole un conforto al suo dolore? E’ soltanto “rassegnazione”?
Mi viene improvvisamente da pensare che forse, invece, ella abbia scelto di lasciarsi andare, infine, al polifonico concerto della Vita, dove i vivi e i morti possono continuare a dialogare, a vincere ogni brutale separazione, incontrandosi sul magico ponte dei ricordi e delle tracce indelebili di presenza che coloro che se ne sono andati lasciano in coloro che rimangono, in uno scambio di benefica energia che mai più potrà estinguersi. Quando si attua questo passaggio, come in un inaspettato “salto” di qualità, la nostra coscienza si apre a percepire la Natura e gli Altri come componenti di un’unica “orchestra cosmica”, dove tutti gli opposti che la tagliente lama del “pensiero duale” tiene separati, si riconciliano in una misteriosa armonia, che é come una sorta di respiro cosmico che tutto abbraccia:un abbraccio dove nulla viene più perduto, ma dove ogni presenza, vivente e non vivente, entra a far parte di una magica, sublime danza. E proprio in questo momento, mi viene di pensare al meraviglioso quadro di Henry Matisse, “La danza”, che con le sue cinque figure umane che danzano in cerchio, tenendosi per mano, ai confini del mondo, su di uno sfondo siderale, forse vuole rappresentare proprio questo orchestrale “moto perpetuo” che tutto unisce nella perfezione della circonferenza, risanando la ferita crudele che tiene separati l’Essere e il Non-Essere, la Vita e la Morte.
In questa possibilità di pensare e di vivere le cose, e di far fluire le emozioni in modo del tutto nuovo, modificando la prospettiva rigidamente duale dell’ Esistenza, sento adesso che è racchiusa proprio quella Bellezza che salverà il mondo.
E’ ormai sera, e me ne torno a casa canterellando sottovoce il motivo di Dolcenera : ” Com’è straordinaria la vita, che non si ferma mai, che non si ferma mai….”