L’Antropoanalisi di Ludwig Binswanger

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Ludwig Binswanger (Kreuzlingen, Zurigo, 1881- Kreuzlingen, 1966), grande filosofo-psichiatra svizzero, può essere considerato come il fondatore di una “scuola” nel campo della psichiatria, caratterizzata da un atteggiamento non-naturalistico, non biologistico, sostanzialmente non-positivista nei confronti dell’essere umano. Egli si colloca nel movimento di pensiero avviato nel 1913 dall’altro grande filosofo-psichiatra tedesco Karl Jaspers (1883-1969), che per primo aveva accostato la Psichiatria alla Fenomenologia di Husserl, adottandone il metodo nello studio della psicopatologia (cfr. K. Jaspers, “Allgemeine Psychopathologie”=’Psicopatologia generale’, 1913).
Fin da quando, giovane psichiatra, si era accostato allo studio della sofferenza umana, Binswanger aveva avvertito subito l’insufficienza dell’impostazione solo biologistica dei disturbi mentali, che, basata su di un modello esclusivamente “naturalistico” del funzionamento della mente dell’uomo, stabiliva una netta separazione fra “normalità” e “patologia”, a scapito di una vera comprensione del “malato”. A questo vigente “riduzionismo scientifico”, egli, utilizzando il metodo della Fenomenologia di Husserl e della “Daseinanalyse” di Heidegger, contrappose un nuovo paradigma di comprensione psicologica dell’esistenza umana, fondata sullo studio dei vari modi con i quali si può esprimere e declinare l’Essere-nel-mondo dell’uomo.
L’utilizzazione dei parametri della “Daseinanalytik” di Heidegger, e soprattutto il tema dell’Esserci come “apertura al possibile” permetteva a Binswanger di vedere nelle sindromi psicopatologiche non più una “deviazione” da una norma naturalisticamente prefissata in un “corpo-materia” (Korper) “malfunzionante”, ma un “possibile modo di essere-nel-mondo” da parte di un uomo che vive la propria “presenza” nella realtà nella globalità di una sintesi corpo-anima, cioè in un “corpo vissuto” (Leib), cercando di dare, come che sia, un senso al proprio umano esistere.

“Con l’individuazione della struttura fondamentale della presenza come essere-nel-mondo, Heidegger ha fornito alla psichiatria un orientamento metodologico che le ha permesso di prendere in esame e di descrivere i fenomeni che essa deve studiare e le loro connessioni essenziali fenomeniche nella totalità del loro contenuto e senza nessun pregiudizio, cioè in un modo libero da ogni ‘teoria’ scientifica”. (Cfr. : L. Binswanger, “L’importanza dell’analitica esistenziale….”, in “Essere nel mondo”, Roma, Astrolabio, 1973, pp.210-211)

In questa nuova prospettiva “ermeneutica”, il rigido dualismo fra sanità e malattia veniva a distribuirsi lungo un “continuum”, che permetteva di far rientrare in un contesto “sempre” umano ogni modo di essere, anche quello patologico, come una delle infinite possibilità posizionali e modali dell’Esserci, uno degli infiniti modi del “Dasein”.
Alla psichiatria, in tal senso, Binswanger affidava il nuovo compito di “vedere” nel degrado della sofferenza psichica la presenza di uno sforzo umanissimo di dare senso al proprio esistere, anche se tale sforzo si poteva presentare come “fallimentare”, perché incapace di dialogare adeguatamente con la vita personale e sociale.
In questa nuova prospettiva “euristica”, la “malattia mentale” veniva a costituirsi come un possibile modo di declinare la propria presenza nell’orizzonte mondano e allo psichiatra veniva chiesta una nuova forma di “empatia” relazionale col “malato”, centrata sulla “comprensione” della sua umanità, da analizzare, descrivere e curare per via interattiva e non con gelido “distacco scientifico”.
A questa nuova prospettiva ermeneutica, Binswanger dette il nome di “Antropoanalisi”, quasi per sollecitare la scienza psichiatrica ad un “ritorno globale all’Uomo” (Antropos, appunto), ad un “prendersi cura” dell’Uomo che si “nasconde” dietro il “malato”, e che é compito dello psichiatra “svelare” e “riportare in luce” ripercorrendone la storia personale, con un nuovo, fervido interesse per la sua umanità. Quasi come se lo psichiatra, nella sua professione, dovesse appropriarsi dell’espressione di Creméte, uno dei personaggi della famosa commedia di Terenzio, “Heautontimorumenos”, il “Punitore di se stesso”, 165 a.C : “Homo sum, humani nihil a me alienum puto” (cfr. v. 77).
Il debito che le teorie innovative di Binswanger in campo psichiatrico devono alla fenomenologia di Husserl e alla Daseinanalytik di Heidegger é notevole.
Il metodo fenomenologico, nella sua fondamentale caratteristica di apertura della coscienza al “darsi” delle cose mediante la sospensione di ogni pre-giudizio (epoché) permise a Binswanger la formulazione di un nuovo orizzonte ermeneutico nell’approccio alla malattia mentale.

“L’analisi fenomenologia dell’esperienza (del disturbo mentale) …. opera …. prevalentemente con varie specie di conoscenza ed empatia psicologica. Il suo obbiettivo é accumulare quanto più singole osservazioni psicologiche sia possibile, al fine di leggervi e dimostrare più chiaramente possibile la forma o specie di esperienza in questione. Noi, d’altra parte cerchiamo, in primo luogo, non la specificazione dell’esperienza fattuale e neppure quella del processo di esperimentare, ma piuttosto quel qualcosa che sta ‘dietro’ o ‘sopra’ ambedue. Cerchiamo, cioè, il modo dell’essere-nel-mondo che rende possibile una tale esperienza, o, in altre parole, che la rende comprensibile”. (Cfr. : L. Binswanger, in “Schweiz. Arch. Neurol. Psychiatr.”, XXIX, 1926, pp. 215-217)

Sulla traccia dettata dalla filosofia di Heidegger, Binswanger cercò, poi, di chiarire “come” si costruisca il senso dell’esistenza, cogliendone i presupposti di base nel concetto di “a-priori esistenziale”.
Secondo Binswanger, la libertà dell’uomo nella vita non é illimitata, ma é condizionata da un originario “essere gettati” nel mondo, come già aveva detto Heidegger, indipendentemente da ogni tipo di scelta. Tale “condizione a-priori” per Heidegger é il fondamento (Grund) del poter-essere dell’Esserci ; per Binswanger é il “corredo” biopsichico” col quale si “apre” la nostra “presenza” sulla ribalta della vita. Un punto di partenza dal quale muoveranno, poi, le risposte e le scelte alle quali noi daremo forma “nel tempo”.
Binswanger chiama questo iniziale “essere gettato” della presenza come l’orizzonte trascendentale di partenza di tutto quello che la psichiatria studia sotto il nome di corpo, organismo, disposizione, depressione, follia, coazione, istintualità, ecc., e che la Psicoanalisi freudiana chiama “Es”, o inconscio, contrapponendolo all’Io cosciente.
Tale “dualismo” fra “inconscio” e “io cosciente”, però, non ha senso per Binswanger, poiché l’inconscio altro non é se non ciò che ancora non é conscio, ma che lo diventerà “nel corso del tempo”.

“Mentre la Psicoanalisi, com’é noto, interpreta l’inconscio sulla base del conscio, é evidente che una teoria che non parta dall’intenzionalità del conscio, ma mostri invece come questa si fonda sulla temporalità della presenza umana, deve anche interpretare la differenza fra la coscienza e l’incoscienza in una maniera temporale ed esistenziale (existential)”. (Cfr. : L. Binswanger, “L’importanza dell’analitica esistenziale di Martin Heidegger per l’autocomprensione della Psichiatria”, 1949, in “Essere nel mondo”, cit.)
“La collocazione spazio-temporale della ‘incoscienza’ é l’esistenziale (heideggeriano) ‘essere gettato’ : in questo caso il punto di partenza dell’interpretazione non può più essere la coscienza, ma deve essere necessariamente la ‘incoscienza’, cioè l’essere-gettato e la coartazione della presenza”. (Cfr. : ibid.)
“L’essere- gettata della presenza, cioè la sua effettività, é l’orizzonte trascendentale sia di tutto ciò che la Psichiatria delimita oggettivamente come realtà e che elabora sistematicamente con una faticosa ricerca scientifica sotto il nome di organismo o di corpo (quindi anche di ereditarietà, di clima, di ambiente, ecc.), sia di tutto ciò che essa delimita, esamina, studia come coartazione (Befangenheit) mentale, cioè come accordo e discordanza emotiva, come distorsione (stramberia=Verschrohenheit), coercizione, coatta o delirante, assuefazione, istintualità, confusione mentale, onirismo, incoscienza, ecc.”. (Cfr. : ibid.)

Dall’a-priori esistenziale in poi, nascono le risposte che ogni esistente darà al proprio esistere. Dal tipo di risposta dipenderà il livello di autenticità o inautenticità della persona. Quanto più tale risposta sarà vicina e coerente con il proprio esistenziale a priori, malgrado i limiti che l’essere-gettati pone, tanto più la propria esistenza sarà autentica ; quanto più sarà lontana, tanto più sarà inautentica. E l’inautenticità é debolezza perché comporta un allontanamento dalla propria reale dimensione esistenziale, la cui accettazione é la premessa necessaria per dare il via allo sviluppo delle proprie potenzialità.
Fra i due poli della “autenticità” e della “inautenticità” si collocano i diversi “modi di essere” dell’umano “Dasein”, che Binswanger cercò di descrivere in una delle sue principali opere, pubblicata per la prima volta nel 1942, intitolata “Grundformen und Erkenntnis menschlischen Dasein” (Forme fondamentali e conoscenza dell’Esserci umano), E. Reinhardt Verlag, München-Basel, 1973.
I modi possono essere ordinati a seconda che garantiscano all’esistere una maggiore o minore pienezza, cioè a seconda della loro maggiore o minore “ricchezza” o “povertà”.

“Un modo é tanto più ricco quanto più garantisce alla presenza la possibilità di testimoniarsi e di esprimersi autenticamente. Il che equivale a dire quanto più pienamente essa riesce a costituirsi in ‘coesistenza’, …. cioè nel segno della reciprocità. …. Il criterio ordinativo dei diversi modi si correla quindi alla maggiore o minore libertà che si schiude oppure si chiude alla’articolazione con un Tu …. Detto altrimenti, possono essere ordinati a seconda : del ‘poter-essere’ (posso liberamente essere, sottratto al massimo dagli altrui condizionamenti) ; dello ‘avere-il-permesso-di-essere’ (posso essere me stesso, ma solo nel ruolo che mi é concesso) ; e dello ‘essere-costretto-ad-essere (non posso essere se non nel segno di un’altrui imposizione)”. (Cfr. : Danilo Cargnello, “Alterità e alienità. Introduzione alla fenomenologia antropoanalitica”, Milano, Feltrinelli, 1966, p.30-31)

La comprensione delle strutture a-priori dell’esistenza umana, cioè degli a-priori esistenziali, poteva fornire allo psichiatra uno strumento prezioso per una più piena comprensione del mondo del paziente e della malattia mentale, la quale poteva essere assunta come una ‘onnipresente uniformità di esperienza’, vissuta in un ‘tempo arrestato’ che non permette nessuna ‘maturazione esistenziale possibile’. Le vere cause della sofferenza umana dovevano essere cercate sul terreno di questo “scacco” esistenziale, che può essere curato, piuttosto che essere considerate come manifestazioni “devianti” da una “norma” rigidamente prefissata nel contesto di una riduzione dell’ “uomo totale” a semplice “homo natura”.

“Se c’é un momento in cui é necesario che intervenga l’intera esistenza (e non solo una ‘idea’, per quanto grande essa sia), questo momento é proprio quando si deve ‘fondare’ la Psicologia. Si tratta infatti di capire l’uomo nella totalità della sue esistenza e di spiegarlo in base ad essa. Questo é possibile solo se si parte dalla nostra intera esistenza, cioè solo se con la totalità della nostra esistenza noi riflettiamo sull’essenza e sulle modalità della condizione umana, ed esprimiamo questa riflessione. …. Se c’é una cosa che va fatta in modo antropologico, questa cosa é proprio la fondazione della Psicologia. Dato, però, che l’esistenza non può mI risolvsi completamente nella ‘idea’ o nel pensiero, e poichè, inoltre, la Psicologia intende essere una scienza …. ci troviamo di fronte a due alternative : o abbandoniamo del tutto la nostra pretesa di una Psicologia come scienza, oppure immettiamo il più possibile la nostra esistenza nel pensiero psicologico, cioè pensiamo in modo esistenziale”. (Cfr. : L. Binswanger, “Freud e la costituzione della psichiatria clinica”, in “Per un’antropologia fenomenologica”, Milano, Feltrinelli, 1970, p. 256).

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