Dalle mie parti (Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo), la festa del Primo Maggio si coniuga sempre con la rievocazione di una delle pagine più dolorose della storia italiana del dopoguerra : la strage di Portella della Ginestra, a pochi chilometri da casa mia, avvenuta proprio il Primo Maggio 1947.
Portella della Ginestra era, ed é, un luogo saturo di storia. Prima del tragico episodio del 1947 era stato teatro dei memorabili comizi di Nicola Barbato, fondamentale esponente dei Fasci Siciliani dei Lavoratori nel 1893, poi arrestato e tenuto recluso per due anni sotto il governo Crispi, per le sue idee socialiste a difesa dei lavoratori soprattutto agricoli. In quel luogo vi era già un monumento in suo onore, méta abituale delle riunioni dei lavoratori. Dopo la strage del 1947, lo scultore Ettore De Conciliis vi aggiunse un vero e proprio “Memoriale” rievocativo del terribile episodio.
Nella mia personale memoria di donna che a quell’epoca non era ancora nata, quel momento così drammatico della storia italiana è sempre stato tenuto vivo dai racconti di mio padre, che si trovò a viverlo in prima persona, essendo anche egli presente a Portella della Ginestra con altri concittadini di Piana degli Albanesi. Egli era allora un ragazzo di 13 anni, e spesso mi ha rievocato con intensa e vibrante commozione il clima di gioia e di speranza per una nuova epoca di giustizia sociale che si era diffuso fra tutti i lavoratori agricoli dopo l’esito delle elezioni regionali.
Quel primo Maggio aveva assunto il particolarissimo valore di una svolta storica, e nel cuore di tutti si era diffusa una nuova leggerezza, come se ormai fosse diventato possibile per ogni lavoratore scrollarsi di dosso il peso di secolari, ingiuste oppressioni e miserie inenarrabili. La possibilità di vedere finalmente scomparire il latifondo, per poter pervenire ad una nuova distribuzione della terra agli agricoltori che per secoli l’avevano coltivata in condizioni di schiavitù, sembrava a molti non più un romantico miraggio, ma una realtà concreta ormai a portata di mano. E soprattutto ai ragazzi e ai giovani era come se si schiudessero nuovi orizzonti di operoso e stabile lavoro in una atmosfera di nuova libertà e di equità sociale. Uomini, donne, bambini, ragazzi, giovani, vecchi, tutti si erano recati a Portella come ad una festa, a piedi, a dorso di mulo, a cavallo, cantando, con la banda musicale in testa, per celebrare questo evento meraviglioso.
Ma, mentre un sindacalista illustrava ai presenti il programma di riforme fondiarie che la vittoria elettorale avrebbe reso possibile, improvvisamente, dalle alture circostanti, partirono numerose e devastanti raffiche di mitra, dirette alla cieca su persone, cose e animali, come in un tragico e terribile tiro al bersaglio. L’Assemblea si sciolse immediatamente in un fuggi fuggi generale fra disperate urla di terrore, mentre sul terreno rimanevano numerosi morti e feriti.
Mio padre, a distanza di tanti anni, impallidisce ancora e viene preso da un tremito inarrestabile nella voce e nei gesti quando mi narra di questa insensata carneficina, alla quale egli assistette terrorizzato, nascondendosi dietro un masso e vedendo cadere morta vicino a sé la signora Margherita Clesceri, madre di cinque bambini, che egli conosceva bene, mentre a poca distanza da lui, morivano anche due suoi coetanei, Giuseppe Di Maggio e Giovanni Grifò, assieme a Vincenza La Fata, una bambina di appena 8 anni.
I nomi di queste vittime, assieme a tutti gli altri, sono oggi scolpiti per sempre nel monumento memoriale di Portella della Ginestra.
Furono vittime di una insensata speranza di giustizia sociale, alla quale fu risposto con una altrettanto insensata e cieca violenza?
Quando leggo l’articolo 1 della nostra Costituzione, che dice :
“L’Italia é una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” ; e poi, l’articolo 2, che dice : “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, sono convinta che quella speranza di giustizia sociale non fu insensata, ma anzi, paradossalmente, fu proprio esaltata e confermata dai colpi di mitra che cercarono brutalmente di contrastarla e di spegnerla.
Ma se c’é un compito che oggi non dobbiamo assolutamente evitare di svolgere, é quello della conservazione della memoria di quanto successe il Primo Maggio 1947 a Portella della Ginestra. Le speranze di giustizia sociale che ancora aleggiano in quella scabra e rocciosa vallata sono infinitamente più potenti delle raffiche di mitra che cercarono di soffocarle.
Mio padre, dopo 65 anni, superato il terrore di allora, ci crede ancora, ed io con lui. Spero che anche i nostri governanti di oggi ci credano e lavorino in tal senso, al di là di ogni sconfortante segnale.