Proprio oggi, mentre, in concomitanza con il cordoglio per la scomparsa del famoso cosmonauta Armstrong, da tutte le parti fervono le rievocazioni dello sbarco del primo uomo sulla luna, mi è accaduto di incontrare un mio simpatico amico ottantenne. Un tipo ancora giovanile, inguaribilmente romantico, che, malgrado l’età, ha conservato dentro di sè una carica di “eterna” adolescenza.
Subito gli ho chiesto di rievocarmi le impressioni che provò nel lontano Luglio del 1969, quando tutto il mondo fu inondato dalle immagini in diretta dell’allunaggio dei cosmonauti. Egli mi ha detto testualmente :”Provai, forse come tutti, allora, una fortissima emozione, ed anche io mi sentii di inneggiare al Progresso tecnologico, che dilatava i confini della conoscenza umana e ci faceva diventare cittadini del Cosmo, aprendo nuovi orizzonti alla nostra vita.
Ma subito fui anche pervaso da una improvvisa, strana malinconia per quella Luna violata, che, dopo quell’ “allunaggio”, diventava un corpo astrale qualsiasi, perdendo tutto il fascino magico e calamitante del mistero. Mi risuonarono nella mente e nel cuore i versi leopardiani del “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, le note solenni e maestose della sonata “Al chiaro di luna” di Beethoven, oppure quelle struggenti e nostalgiche del brano di Debussy, “Clair de lune”, e mi parve che mentre si apriva un nuovo mondo, forse ne moriva un altro e con lui se ne andava una buona parte della nostra vita, quella che sta dalla parte del cuore, non della mente.
Era una realtà ineluttabile? Era semplicemente un dubbio infondato? Oggi che ho ottanta anni, continuo a chiedermelo, con una sottile nota di nostalgia che ancora non trova risposta”.