Recentemente, mi è stata posta una domanda che mi ha indotta a sviluppare una breve riflessione su alcuni aspetti delle relazioni interpersonali. Ne riporto il testo, cui fanno seguito le mie considerazioni.Mi potreste spiegare gentilmente come mai alcune persone hanno un bisogno incessante di scoprire o interessarsi delle sconfitte altrui?
“Caro Epeo, una risposta umoristica alla tua domanda potrebbe essere questa : “Perchè non hanno paura dell’Inferno ; oppure non si preoccupano granchè della famosa trave evangelica, che è piantata nei loro occhi, mentre essi si occupano delle pagliuzze degli occhi altrui…..”
Ma sarebbe sicuramente una battuta del tutto insufficiente per inquadrare un problema (o costume?) assai diffuso nella nostra epoca, tanto da non essere soltanto individuale, ma anche di rilevanza sociale, se si pensa al cosiddetto “gossip” che fa prosperare molti rotocalchi, specializzati nella violazione scandalistica della altrui vita privata, specie dei personaggi “celebri” o agli onori delle cronache.
E’ un dato di fatto che rovistare o curiosare nella vita degli altri costituisce un “vizietto”, spesso dai connotati morbosi, sul quale nessuno di noi, con un minimo di onestà, potrebbe in tutta coscienza “scagliare la prima pietra”.
Il fatto è che la nostra vita, fin dalla prima infanzia si sviluppa e si svolge alla luce di un continuo confronto con gli altri. Dagli altri noi desumiamo i modelli di comportamento a cui attenersi ; tramite il dialogo interminabile con il “tu” dell’altro noi costruiamo la nostra identità. Lo sviluppo e la valorizzazione delle nostre stesse doti personali non può avvenire senza una interazione dinamica con le aspettative e le risposte degli altri.
Gli altri sono per noi i termini di paragone, i parametri in riferimento ai quali si plasma il nostro io. In questa pospettiva, gli altri possono essere per noi
“Maestri” di vita, ; oppure “Nemici” dai quali tenersi distanti ; oppure “Compagni di viaggio” che hanno i nostri stessi “vizi” e le nostre stesse “virtù”, e in tal senso ci permettono di “rincuorarci” e ci impediscono di sentirci soli specialmente quando vediamo che anche essi commettono i nostri stessi errori, vivono le nostre stesse sofferenze, subiscono le nostre stesse sconfitte, oppure, ancora, manifestano comportamenti anomali che, per contrapposizione, ci convincono che noi, a differenza di loro, possiamo definirci “sani”.
Tutto questo fervore relazionale è in grado già di per sé di giustificare l’esistenza in ciascuno di noi di una naturale propensione a “scrutare” la vita altrui. E’ chiaro, però, che tale interesse può assumere talvolta connotati anche morbosi e patologici quando vi sia un carico di problemi individuali assolutamente insostenibile, dai quali una persona tende a liberarsi “attribuendoli” o “proiettandoli” sugli altri, che in questo caso divengono “vittime” o “capri espiatori” delle proprie angosce. Ma questo è un capitolo che diviene di pertinenza psicoterapeutica o psichiatrica, a seconda dei vari gradi di gravità.