Auguri a tutti i lettori

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Anche quest’anno torna il Natale. La nostra vita su questa terra è un continuo susseguirsi di stagioni, fra dolori, rimpianti, gioie e avvenimenti di vario genere ed entità. Rifletto sui miei Natali : alcuni sono stati belli, altri meno belli, qualcuno addirittura decisamente brutto. Ma mi chiedo : è il Natale in sé ad influenzare i nostri stati d’animo, oppure sono le nostre emozioni che, come pennelli indiscreti, dipingono la Festa ed i preparativi che la precedono con i loro mutevoli colori?

Attualmente stiamo vivendo uno spiacevole periodo di decadenza economica, sociale e, soprattutto, morale. Basta guardarsi intorno, passeggiare per le strade della mia Palermo – ad esempio – , per vedere un gran numero di negozi inaspettatamente chiusi, oppure altri semivuoti, con poca merce, frequentati da gente dal volto serio, senza sorriso, che cerca di contenere il più possibile le spese. Sullo sfondo, vi è il dramma di molte persone che hanno perduto il lavoro per gli innumerevoli fallimenti di imprese ed esercizi commerciali, floridi fino a poco tempo fa, e che ora si trovano inermi dinanzi ad un clima sempre crescente di precarietà ed insicurezza di fronte al futuro.

Al “vertice”, vi è un Governo fondamentalmente debole, che, almeno fino ad ora, non è riuscito ad elaborare proposte sufficientemente “forti”, che, al di là delle parole e delle false promesse, fossero in grado di migliorare concretamente una situazione di grande, terribile declino economico-sociale, cui si aggiunge la piaga della disonestà e della corruzione che sempre più spesso infetta persone ed istituzioni che dovrebbero tutelare i cittadini.

Questa triste scenografia, che rischia di spalancare drammaticamente orizzonti privi di speranza ai nostri occhi pervasi di smarrimento, può senza dubbio tingere di grigio il Natale di quest’anno, opacizzandone il significato e mettendo in ombra il messaggio di “rinascita” che costituisce l’essenza più intima della Festa.

Spesso mi accade di confrontare la società siciliana vissuta dai miei genitori con quella attuale. Certamente, negli anni ’50, lo stato di povertà nel quale viveva la maggior parte delle persone, specialmente nelle campagne, era una piaga sociale che infliggeva sofferenze e rinunce inaudite alle famiglie che ne erano fatalmente coinvolte, obbligandole a vivere quasi totalmente in funzione della ricerca del solo pane quotidiano. Era la “Amara terra mia”, di una famosa e bellissima canzone di Modugno,dalla quale molti erano costretti a fuggire con una grande, tragica amarezza nell’anima, in cerca di condizioni di vita più accettabili.

Tuttavia, la “cultura della povertà”, seppur esecrabile sotto tutti gli aspetti, riducendo forzatamente al minimo i bisogni, finiva con l’alimentare, nei componenti della medesima classe sociale, un culto per le cose semplici ed un senso di solidarietà familiare ed umana, che, anche se in parte, compensava la miseria quotidiana in cui si era costretti a vivere.In tale contesto, si gioiva di beni “naturali e necessari”, e la possibilità di riunirsi in famiglia nel giorno di Natale, per consumare insieme un semplice pranzo un po’ “straordinario” rispetto alla magra frugalità degli altri giorni, scambiandosi piccoli doni, anche semplicemente dolcetti fatti in casa, era, specie per i bambini, un momento di affettuosa, indimenticabile aggregazione.Poi, nel corso degli anni ’60, la situazione economica era gradatamente migliorata a seguito del cosiddetto “boom economico” italiano, che aveva dischiuso nuovi orizzonti di benessere.

Alla “cultura della povertà”, era subentrata la nuova “cultura del consumo”, la quale, se da un lato aveva permesso una notevole riduzione dell’indigenza, migliorando le condizioni lavorative e mettendo alla portata della maggior parte delle persone prodotti che fino a pochi anni prima erano completamente fuori dalle possibilità economiche delle famiglie, aveva fatto nascere anche il culto di beni “non naturali e non necessari”, come fatale risvolto di un benessere avido, sfrenato e senza regole, dedito al culto del superfluo, della moda, del “firmato”.

Ed il progresso tecnologico, nel frattempo, mentre per un versante aveva permesso al genere umano di compiere passi impensabili in tutti i campi, velocizzando la comunicazione e gli scambi su di un piano planetario,con l’avvento graduale dei computer, dei cellulari e delle più sofisticate apparecchiature elettroniche alla portata di tutti, aveva generato un vero e proprio nuovo “furore tecnologico”, di cui oggi noi tutti siamo stupiti spettatori ma anche, nel contempo, complici senza scampo, specialmente i nostri figli, irrimediabilmente “viziati”da questa vera e propria “orgia della futilità”, che ha trasformato tutto ciò che un tempo era puramente secondario e del tutto accessorio, in un nuovo valore di portata primaria, corrompendo l’autenticità e la semplicità della vita.

Oggi, la crisi economica, mentre da un lato colpisce rischiosamente i beni “naturali e necessari”, come il lavoro, la casa, i servizi sociali, mettendo a serio repentaglio la stabilità esistenziale di molte famiglie, genera un altro, paradossalmente più grave “veleno”, che è quello della forzata riduzione o rinuncia nei confronti del “superfluo”, cioè di tutti quei beni che il consumismo sfrenato aveva finito col rendere “assolutamente necessari” per potere essere socialmente “In tale clima di polivalente frustrazione, la coesione familiare rischia di risentirne in modo assai pesante perchè condizionata dalla ambigua “educazione alla futilità”, che si é insinuata ormai da molti anni nel tessuto delle relazioni affettive fra genitori e figli. Oggi, mentre da un lato entra in crisi il “pane quotidiano”, dall’altro lato rischiano di franare anche tutti gli pseudo-valori che costituivano gli “idoli” della società dei consumi ; cosa tanto più grave quanto più ci si era disabituati a seguire e praticare l’antico “linguaggio della semplicità” dei nostri padri.

Tutto questo “riflusso” destabilizzante di moduli abitudinari di vita richiede non soltanto provvedimenti governativi divenuti ormai sempre più irrinunciabii, ma soprattutto esige, da parte di noi tutti, un profondo ed appassionato ripensamento di tutti quei valori che fino ad oggi hanno guidato la nostra vita personale ed associata, per cancellare ciò che eventualmente li ha deformati e per ripristinarne l’originaria ed indelebile autenticità. In tal senso, mai come oggi si propone come assolutamente necessaria una vera e propria “rinascita”, non solo sociale, ma soprattutto individuale, alla quale tutti siamo chiamati a fornire il nostro personale contributo.

Come primo passo, pur non sottovalutando le difficoltà e la confusione del mondo nel quale siamo attualmente immersi, è opportuno chiedersi se sia del tutto giusto strappare dai nostri cuori una delle “virtù” più autenticamente umane, in grado di vincere le barriere del tempo in cui siamo fatalmente confinati, cioè la Speranza.

La Speranza inizia sempre là dove finisce la Disperazione. La Disperazione è Ombra ; la Speranza è Luce. Ma se tanto più intensa e cupa sarà l’Ombra, tanto più forte e chiara sarà la Luce che la proietta. Oggi, forse, ci troviamo a vivere in un cono d’Ombra per mille motivi fra i più intensi di quest’ultimo ventennio ; ma proprio per questa situazione, la luce della Speranza promette di irradiarsi in modo ancora più potente. Il Natale è tempo di Rinascita, di Luce e di Speranza : auguro con tutto il cuore a chi leggerà queste parole, di vivere un Natale quanto più luminoso possibile.

“Nasca pure mille volte il Bambino a Betlemme ; se non nascesse prima dentro di voi, sarebbe invano!” (Angelus Silesius, poeta e mistico tedesco, 1624-1677)

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