Anche quest’oggi diventera’ ieri. Riflessioni sul divenire

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Una cara amica mi ha posto recentemente una domanda che ha suscitato in me alcune appassionate riflessioni su di un tema del quale spesso ho avvertito l’importanza non solo nella mia vita, ma anche in quella di tante altre persone :

“Luisa, molte volte, nei commenti tuoi e del Professore , mi è capitato di leggere il termine “divenire”. Penso di averne capito il significato, ma preferirei che tu me lo spiegassi meglio. Grazie per la tua immensa pazienza.”

Cara Antonella, la tua domanda fa riemergere alla mia mente il ricordo di alcuni brevi, ma intensissimi versi, con i quali un mio amico rispose, qualche anno fa, ai miei auguri per il suo settantesimo compleanno. Il titolo era, appunto, “Compleanno”.

I versi suonavano così : “Fiori autunnali sul mio tavolo. / Anche quest’oggi / diventerà ieri. / Ma il tuo sorriso, / armonia senza tempo”. In questa suggestiva composizione, ispirata alla concisa espressività della poesia giapponese della quale il mio amico é appassionato cultore, penso che sia racchiusa la risposta al tuo quesito.

Il senso del “divenire”, nel suo più profondo significato psicologico ed esistenziale, è tutto racchiuso in quella scabra, martellante sequenza, che è anche una inappellabile “sentenza”, di cinque parole : “anche / questo / oggi / diventerà / ieri”. > “Divenire” è un verbo ambiguo, è un’emozione fluida, inarrestabile, che cerca di farsi parola, ma continuamente fugge e sfugge ; è come un fiume che scorre senza tregua, dove la mia mano non riuscirà mai a sfiorare l’acqua di un attimo prima. In questo verbo molti filosofi, poeti, letterati, scienziati hanno visto racchiusa una grandissima metafora della vita, non soltanto individuale, ma cosmica.

Tutto, dentro di noi come fuori di noi, “scorre”, si trasforma, cambia, cessa di esistere in un certo modo per riproporsi, poi, con un nuovo volto, rispondendo ad una “Legge” che mai avrà fine. Si tratta di una condanna che pesa inesorabilmente sul genere umano e sulle cose, come un’eterna vertigine che tutto travolge senza speranza, oppure ci troviamo dinanzi ad una fessura che si schiude al possibile, al rinnovamento, ad un futuro ricco di promesse e di nuove, magiche armonie?

In questo drammatico intrecciarsi di contrastanti interrogativi , ora pervasi d’angosciosa disperazione, ora aperti al sollievo dell’attesa risiede il mistero di questo semplice ma terribile verbo. Un antico filosofo greco del VI-V secolo avanti Cristo, Eraclito, sulla trama di questa fatidica parola, costruì una complessa teoria dell’uomo e dell’Universo, che ci é pervenuta racchiusa in numerosi frammenti in grado di vincere l’usura del Tempo, conservando ancora oggi un suggestivo sapore di attualità.

“Tutto scorre” (in greco “panta rhei”) é per lui l’unica possibile chiave di lettura che la realtà svela agli occhi di chi sa penetrare acutamente l’Invisibile, ed invano ci affanneremo a cercare un’isola di certezza, di verità nell’oceano sempre fluttuante, rumoroso e frastornante della vita,, perchè “trastulli di bimbi sono le credenze degli uomini”, e coloro che credono di potersi immergere in acque sicure, non sanno che “il fiume in cui entrano è lo stesso, ma sempre altre sono le acque che scorrono”, per cui “noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, e noi stessi siamo e non siamo” (cfr. framm. 63, 12, 49a D.-K.).

Questo eterno divenire di tutte le cose si riflette poi nella nostra vita più intima, in un flusso inestinguibile ed inarrestabile di pensieri, di sensazioni, di sussulti emozionali, di sogni, di desideri, di vibrazioni appassionate, di sofferenze, di gioie, di amarezze, di impetuosità, di crepuscolarismi, di sforzi titanici ed altro, che costituiscono e costituiranno sempre lo scenario della nostra interiorità, il “lessico” della nostra anima, che mai si arresta e sempre si trasforma e si trasformerà senza tregua, in sintonia con l’infinito, mobile respiro cosmico che pervade l’intero Universo.

“Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo per intero tutte le strade, tu potresti mai trovare i confini dell’anima : così abissale è la sua essenza”, suggerisce ancora Eraclito, in un passaggio (cfr.framm.45 D.K) dove la sua Filosofia si fa Psicologia, con un potente sapore di modernità ed un implicito invito alla “empatia”, cioè all’ascolto ed al rispetto della infinita imprevedibilità dell’Altro. Un suggerimento ed un programma di notevolissimo valore per chi pratica la psicologia “clinica”.

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