Una romantica storia d’amore del XII secolo : Eloisa e Abelardo

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Il mondo della Letteratura e dell’Arte è disseminato di celebri coppie d’amanti che hanno fatto sognare intere generazioni di lettori : coppie per lo più mitiche, immaginate per simbolizzare i vari aspetti dell’amore, oppure coppie forse storicamente esistite, ma totalmente trasfigurate nell’alone della leggenda. Di tali coppie si potrebbe stilare un elenco pressoché interminabile, da Adamo ed Eva in poi, con tutto il relativo corredo di opere che ne hanno trattato le vicende, ora dolorose, ora tormentate, ora avventurose, ora, ma più raramente, felici.
Ciò che caratterizza la storia di tutte queste coppie è che assai di rado i protagonisti sono balzati alla ribalta della loro storia, reale o immaginaria che fosse, per parlarci direttamente di sè, in prima persona, in modo da svelare le più intime vibrazioni emotive della loro anima : se ciò è accaduto, vi è sempre stata la regia, sapiente o geniale che fosse, di un autore che dava loro la parola.
Si pensi, per fare soltanto qualche esempio, ai danteschi Paolo e Francesca, oppure agli shakespeariani Romeo e Giulietta, oppure, ancor prima, agli omerici Ulisse e Penelope, e via dicendo.
Nel caso di Eloisa e Abelardo la situazione è completamente diversa.
In primo luogo si tratta di una coppia realmente esistita, la cui storia d’amore si sviluppò, in pieno Medioevo, a partire dal 1116 – anno in cui Abelardo, trentacinquenne, incontrò Eloisa, sedicenne -, per durare, in modo assai tormentato, fino alla morte dello stesso Abelardo, avvenuta nel 1142. In secondo luogo, la trama della relazione, le sfumature emotive, i dinamismi intensi e palpitanti e gli struggenti tormenti vissuti dai due amanti sono racchiusi in un epistolario di 13 lettere, nel quale i due protagonisti dialogano fra loro in prima persona, in modo drammatico, vibrante, disperato e toccante, mettendo a nudo tutti i loro sentimenti, di rilevante interesse psicologico.

Eloisa e Abelardo formano una coppia profondamente “moderna”, collocata in un’epoca “medievale” ; un’epoca “di transizione”, contrassegnata da notevoli fermenti di progresso culturale ed economico, ma ancora vincolata per molta parte al modo di sentire, pensare e agire di un passato “più oscuro”. Su questo sfondo, dove il nuovo si confronta e contrasta col vecchio, si sviluppa la loro storia d’amore : una storia nata, almeno da parte di Abelardo, per “gioco” o per pura attrazione erotica, ma ben presto trasformatasi in una travolgente vicenda passionale, contrassegnata da un profondissimo amore. Un sentimento quasi “oceanico”, che i due amanti vissero e narrarono a se stessi e ai posteri “in prima persona”, senza veli e senza reticenze, percorrendovi fino alle estreme conseguenze tutta la parabola delle sfumature che caratterizzano e caratterizzeranno “da sempre” le passioni che, situandosi al di là e al di sopra di ogni ottuso conformismo, non possono che essere fatalmente destinate ad una tragica conclusione.

Seguire le vicende di questa storia d’amore è cosa estremamente suggestiva. Abelardo fu un grande maestro di “dialettica”, cioè di filosofia, il quale per le sue rilevanti qualità intellettuali e umane, che si coniugavano con una piacevole bellezza fisica, aveva raggiunto una notevole notorietà in campo universitario, venendo acclamato come un “innovatore” nella cultura dell’epoca, soprattutto per il suo rigore logico e per il suo metodo “razionalistico” nell’interpretazione delle Sacre Scritture. Al culmine della sua fama, che l’aveva condotto a Parigi con una sorta di “delirio di onnipotenza” nell’anima, egli incontrò improvvisamente Eloisa, una fanciulla sedicenne di cui si sa ben poco, se non che era la nipote prediletta, forse orfana, di Fulberto, un canonico parigino, conoscente di Abelardo, e che era bella e dotata di una intelligenza così notevole, da spingere lo zio a farla istruire, affidandola alle cure di Abelardo. Inizialmente Abelardo, colpito dall’avvenenza e dalla intelligenza della fanciulla, nutrì per lei un interesse soltanto “narcisistico”, ripromettendosi di conquistarla solo perché non era una donna qualsiasi.

Eloisa accettò fin dall’inizio le sue attenzioni, affascinata dal carisma del suo “Maestro”. Ma ben presto i sentimenti di Abelardo si trasformarono profondamente e fra loro scoppiò, incontenibile, un amore appassionatissimo, travolgente, che avrebbe impresso una svolta rivoluzionaria alle loro vite. Lasciamo un attimo che sia Abelardo stesso a parlare di questa vicenda, riportando quanto egli stesso rievoca in un suo famoso testo autobiografico, dal titolo “Historia calamitatum mearum” (Storia delle mie disgrazie), composto in forma di lettera indirizzata ad un amico, che egli probabilmente scrisse nel 1130, quando il suo amore per Eloisa era ormai sfociato nel terribile dramma dell’evirazione e nel tormento della forzata lontananza dalla sua amata :

“Viveva allora a Parigi una fanciulla di nome Eloisa, nipote di un certo Fulberto, un canonico, che le voleva un grandissimo bene e che aveva cercato di farla istruire in ogni disciplina letteraria. Così Eloisa, non ultima per bellezza, superava tutte per la sua profonda cultura …. Trovando in lei tutte le qualità che sogliono attrarre gli amanti, pensai di iniziare con lei una interessante relazione, ed ero sicuro che nulla mi sarebbe stato di più facile : avevo allora una tale fama e un tale fascino, anche in considerazione della mia giovane età, che a qualsiasi donna mi fossi degnato di offrire il mio amore, non avevo timore di riceverne alcun rifiuto …. Tutto preso dall’amore per questa fanciulla, studiai il modo di avvicinarla e intrecciare con lei rapporti quotidiani e familiari …. in modo da indurla più facilmente a cedermi. Per arrivare a questo, mi misi in contatto con suo zio Fulberto e ottenni di farmi ospitare a pensione nella sua casa. Fulberto era molto avido di denaro e per di più …. lo lusingava sapere che sua nipote avrebbe potuto trarre giovamento dalla mia presenza …. Mi affidò infatti la fanciulla in tutto e per tutto affinché io mi occupassi della sua istruzione …. La sua ingenuità mi meravigliò non poco e io non potei fare a meno di stupirmi, come se egli affidasse una tenera agnella a un lupo.
Ma ben presto, se prima ci eravamo trovati uniti sotto lo stesso tetto, ci trovammo uniti anche nei nostri cuori. Con il pretesto dello studio cominciammo a pensare solo al nostro amore, e inoltre le cure scolastiche ci offrirono quella solitudine che l’amore sempre richiede. Aprivamo i libri, ma si parlava più d’amore che di filosofia : erano più i baci che le spiegazioni. Le mie mani correvano più spesso al suo seno che ai libri. L’amore attirava i nostri occhi più spesso di quanto la lettura non li dirigesse sui libri …. Ma le parole sono inutili. Nel nostro ardore, passammo tutte le fasi dell’amore : e se in amore si può inventare qualcosa di nuovo, noi lo inventammo. E il piacere che provavamo era tanto più grande, perché noi non lo avevamo mai conosciuto, e non ci stancavamo mai”. (cfr. Abelardo, “Historia calamitatum mearum”, VI, in Abelardo, “Storia delle mie disgrazie. Lettere d’amore di Abelardo e Eloisa”, a cura di F. Roncoroni, Milano, Garzanti, 1983)

Ecco ancora un altro passaggio della lettera di Abelardo, che suona così : “D’altra parte, a mano a mano che mi lasciavo portare dalla passione, avevo sempre meno tempo per i miei studi di Filosofia, e trascuravo anche il mio insegnamento universitario. Andare ad insegnare mi riusciva molto penoso e anche faticoso, perché dedicavo le notti alle veglie d’amore e il resto della giornata a studiare …. Quando insegnavo, mi limitavo a ripetere quello che già sapevo per pratica, e se mi capitava di creare qualcosa di nuovo, non si trattava certo di teorie filosofiche, ma di canzoni d’amore ….”. (cfr. Abelardo, “Historia….”, cit., ibidem)

L’amore fra Eloisa e Abelardo, una volta sbocciato in modo così intenso e luminoso, cambiò in poco tempo la vita di ambedue gli amanti in maniera talmente visibile da divenire ben presto pubblico. Ma si trattava di un sentimento troppo grande e troppo “moderno” per potere essere capito da una mentalità ancora fortemente “medievale” e condizionata da un moralismo fatalmente bigotto. Già il fatto stesso che Abelardo parlasse in prima persona, osando descrivere le propri emozioni con appassionata ma anche spregiudicata sincerità, collocava la sua figura al di fuori e al di là di ogni più vieto conformismo, mentre Eloisa, a sua volta, come donna intellettuale, emancipata e appassionata amante, non poteva non apparire totalmente “eccentrica” rispetto allo stato di sottomissione in cui la società dell’epoca teneva il mondo femminile. Il risultato fu che i protagonisti di questa storia d’amore furono moralmente condannati e considerati come concubini lussuriosi e perversi. Abelardo, già sospettato di scarsa ortodossia per il suo insegnamento troppo “razionalista”, sarà messo sotto inchiesta da vari tribunali ecclesiastici e sarà chiamato in giudizio più volte, con l’obbligo di ritrattare le sue teorie filosofiche troppo “rivoluzionarie”, soprattutto se proposte da un uomo irrimediabilmente troppo “lussurioso” ; Fulberto, lo zio di Eloisa, furente per la relazione che sua nipote intratteneva con Abelardo, sentendosi tradito e umiliato, ordinò a Eloisa di separarsi dall’amante, tenendola prigioniera in casa a scopo espiatorio. Ma la separazione non fece che alimentare ancora di più la passione. La consapevolezza dell’irrimediabilità dello scandalo finì, paradossalmente, col rendere i due amanti insensibili allo scandalo stesso, ed essi continuarono a mantenersi in contatto con frequenti messaggi. La situazione precipitò quando Eloisa, per lettera, annunciò gioiosamente ad Abelardo di essere incinta. Abelardo allora, per proteggerla, la “rapì” nottetempo e la condusse, travestita da monaca, in Bretagna, a casa sua, affidandola alle cure della sorella. Là Eloisa darà alla luce un bimbo, che verrà chiamato Astrolabio (“colui che abbraccia l’universo”, secondo una suggestiva etimologia medievale. Questo bambino fu affidato alle cure della sorella di Abelardo, rimanendo un po’ estraneo alle drammatiche vicende dei genitori. Ma si ha notizia che ambedue gli amanti si presero sempre cura di lui e della sua educazione, e soprattutto Eloisa, dopo la morte di Abelardo, fece in modo che Astrolabio potesse godere di una “prebenda” ecclesiastica, raccomandandolo all’abate cluniacense Pietro il Venerabile, anch’egli illustre filosofo. Astrolabio, comunque, figurerà fra i canonici della cattedrale di Nantes attorno al 1150).

Prima della nascita del figlio, Abelardo tornò a Parigi cercando di riconciliarsi con Fulberto e promettendogli che avrebbe sposato Eloisa. Dopo la nascita di Astrolabio egli infatti si recò in Bretagna e di là, affidato il piccolo alla sorella Dionigia, tornò a Parigi con Eloisa, per sposarla. Eloisa si mostrò inizialmente contraria al matrimonio, perché temeva che questo passo avrebbe nociuto ad Abelardo e alla sua carriera, data la sua condizione di chierico, comune a molti professori universitari del suo tempo – anche se egli, comunque, non aveva mai preso i voti. Inoltre, come lei stessa dirà in una delle sue lettere più belle e “senza veli”, ella avrebbe preferito essere l’amante di Abelardo, piuttosto che la moglie, perché solo così sarebbe stata certa che Abelardo stava al suo fianco per amore e non per tener fede al vincolo del matrimonio. Tuttavia, infine, decise di accettare il matrimonio, che fu celebrato segretamente per evitare ripercussioni immediate sulla carriera di Abelardo. Lo zio di Eloisa fu invitato a mantenere il segreto, ma il suo desiderio di divulgare la notizia del “matrimonio riparatore” non potè essere contenuto, e il matrimonio divenne dominio pubblico, suscitando le ire di Eloisa che, per difendere Abelardo, negò pubblicamente di essersi sposata, scatenando in tal modo nuovamente le ire dello zio.

A questo punto, la situazione dei due amanti precipita tragicamente. Abelardo, per proteggere Eloisa dallo zio, la porta al sicuro nel monastero di Argenteuil. Fulberto, convinto che Abelardo voglia in realtà liberarsi di Eloisa chiudendola in convento, accecato dall’ira, assolda dei sicari, e una notte, corrotto il servo di Abelardo, lo fa evirare durante il sonno. Il trauma terribile, al quale Abelardo riesce a sopravvivere, distrugge completamente la vita del filosofo, umiliandolo ed annientando di colpo tutta la sua passione.

Più tardi egli dirà che Dio lo ha punito proprio dove aveva peccato, ma in quel momento la sua disperazione è grandissima almeno quanto la vergogna ; adesso, egli pensa, la sua carriera è finita : i suoi studenti piangono per lui, e lui – preoccupato anche del tormentoso ricordo dei numerosi passi biblici dove gli eunuchi vengono trattati con duro disprezzo – si sente lo zimbello di tutti. “In questo stato di prostrazione e di confusione, più per vergogna che per vera vocazione, mi indussi a cercar rifugio all’ombra del chiostro, non prima, però, che, dietro mio invito, Eloisa avesse spontaneamente preso il velo e fosse entrata anche lei in un monastero”. (Cfr. “Historia…, cit. VII-VIII)

Abelardo, in tal modo, entrò nell’Abbazia di Saint-Denis ed Eloisa nel Monastero di Argenteuil. Da quel momento in poi la loro passione d’amore imboccò la strada della “sublimazione”, convertendosi in un intenso scambio epistolare, attraversato dai fremiti di una passionalità mai assopita, che ambedue gli amanti, tuttavia, cercarono disperatamente di trasformare in amore verso Dio, senza mai riuscirvi del tutto, tanto intensa e travolgente era stata e rimaneva ancora la loro passione carnale. Soprattutto Eloisa, che per profondissimo amore verso Abelardo aveva abbracciato la vita monastica, non seppe mai mascherare i suoi reali sentimenti verso l’amante.
Ne è testimonianza drammaticissima e suggestiva il passo di una lettera che ella scrive ad Abelardo, il quale, disperato, l’aveva invitata a volgersi a Dio con purezza di cuore e sincero pentimento, dal momento che ormai null’altro restava da fare nelle loro vite disgraziate. “Per me, in verità, i piaceri dell’amore che insieme abbiamo conosciuto sono stati tanto dolci che non posso nè odiarli nè dimenticarli. Dovunque vada, li ho sempre davanti agli occhi e il desiderio che suscitano non mi lascia mai. Anche quando dormo le loro fallaci immagini mi perseguitano. Persino durante la Santa Messa, quando la preghiera dovrebbe essere più pura, i turpi fantasmi di quelle gioie si impadroniscono della mia anima ed io non posso far altro che abbandonarmi ad essi e non riesco nemmeno a pregare. Invece di piangere pentita per quello che ho fatto, sospiro, rimpiangendo quello che ho perduto. E davanti agli occhi ho sempre non solo te e quello che abbiamo fatto, ma persino i luoghi precisi dove ci siamo amati, i vari momenti in cui siamo stati insieme, e mi sembra di essere lì, con te, a fare le stesse cose, e neppure quando dormo riesco a calmarmi. Talvolta, da un movimento del mio corpo o da una parola che non sono riuscita a trattenere tutti capiscono quello cui sto pensando.” (Cfr. Abelardo, “Storia delle mie disgrazie. Lettere d’amore di Abelardo e Eloisa”, cit., lettera IV)

Quello che potremmo, con moderna nomenclatura psicoanalitica, definire come un “meccanismo di difesa mediante la sublimazione” – alludendo cioè ad un processo psichico che sposta una pulsione sessuale verso una meta non-sessuale (in questo caso “mistica”) -, fu uno sforzo che i due amanti cercarono sempre, in modo assai commovente e struggente, di mettere in atto nel periodo successivo all’evirazione di Abelardo : ma le loro buone intenzioni si risolsero fatalmente in un vano “supplizio di Tantalo”, che mai riuscì a spegnere la travolgente sete d’amore che essi continuarono a nutrire reciprocamente per tutto il resto della loro vita.
Ambedue, malgrado la lontananza, si presero sempre reciproca, amorevole cura. In particolare Abelardo, quando, salendo di grado, divenne Abate del Monastero di Saint-Gildas de Rhuys in Bretagna, donò ad Eloisa un oratorio (il “Paracleto” = Consolatore) che egli aveva fatto costruire a sue spese a Quincey, presso Nogent-sur-Seine. Là Eloisa si ritirò con le sue consorelle, quando il Convento femminile di Argenteuil fu soppresso. In quel luogo Eloisa divenne a sua volta Badessa, continuando la sua corrispondenza epistolare con Abelardo.
Ma ciò che una crudele, barbara offesa aveva crudelmente separato, solo la morte riuscì finalmente a riunire. Abelardo, in una delle sue ultime, più toccanti lettere, aveva chiesto ad Eloisa di potere essere sepolto accanto a lei, quando Dio avesse voluto. Alla sua morte, Eloisa fece trasportare il suo corpo nella cripta del Monastero dove essa si trovava ; ventidue anni dopo, in punto di morte, anche lei chiese di essere collocata accanto al suo Abelardo, che aveva continuato ad amare perdutamente anche dopo la sua morte. Aveva, si dice, la stessa età di Abelardo e fu sepolta nella cripta, al suo fianco. Oggi, dopo varie traslazioni, i due immortali amanti riposano, sempre insieme, a Parigi, nel cimitero di Père-Lachaise.

One thought on “Una romantica storia d’amore del XII secolo : Eloisa e Abelardo

  1. fu vero amore..piu’forte delle insulse convenzioni stabilite da un’arretrata societa’..non e’ che al giorno d’oggi le cose siano cambiate di molto,pero’..bellissima storia d’amore,poco conosciuta ai piu’..

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