Vi sono delle musiche che rimangono indelebilmente legate ai matrimoni. Stillano amore da ogni nota e sottolineano con sublime intensità promesse per un futuro felice, che ogni evento nuziale racchiuderà sempre in sé, come in uno scrigno prezioso.
Sono musiche dell’anima ; musiche con le ali, destinate a volare verso i cieli della speranza. Generalmente sprigionano e diffondono una energia incalcolabile : la forza di sognare, di trascendere la realtà di tutti i giorni.
E’ questo il caso della celebre e sublime “Ave Maria”, che Franz Schubert compose nel 1825. Un “lied” magico, che, nato in un contesto poetico anglosassone, è stato adattato alla tradizione cristiana, divenendo un’appassionata invocazione alla Madonna, mediatrice e protettrice dell’Amore.
Può accadere, tuttavia, dopo un certo tempo – e ciò, anzi, accade assai spesso – che l’universo armonioso delle nuziali promesse e delle attese seducenti perda gradatamente l’appassionata carica degli inizi, rischiando il naufragio negli oceani della delusione.
La parola “Amore” non viene più usata, perde la sua forza radiante ed il suo potere connettivo, per essere sostituita da un altro tipo di lessico, più prosaico, sovente assai riduttivo e misero, che travolge e rischia di cancellare la memoria di quella forza che un tempo ci ha uniti.
Col tramonto dell’Amore, si affievoliscono anche le musiche che un tempo lo abbellirono, amplificandolo e rendendolo “eterno”. L’orchestra dei sentimenti che accompagnava i canti d’Amore si spegne ora in una mesta sinfonia di silenzi e di incomprensioni, dove ciò che prima era amato, adesso viene detestato e ignorato.
E’ difficile, in questi frangenti, ritrovare la parola che un tempo ci affascinò e ci fece incontrare. Alla dolcezza del passato si sostituisce, inesorabile, il veleno del presente. Un veleno che paralizza la comunicazione, rendendola amara, tagliente, rabbiosa, disarmonica.
Ma la memoria, fortunatamente, ha anche i suoi sotterranei, le sue grotte adorne di stalattiti splendenti, dove ancora è racchiusa la luce del passato. Grotte piene di echi e di musiche lontane, che cantano ancora l’Amore.
Forse, quando la superficie della quotidianità si tinge di grigiore e di note equivoche che sanno di fiele, è bello tentare di fermarsi, di arrestare lo sfacelo dell’acredine, per provare a divenire anche un solo attimo speleologi di quelle cavità dell’anima.
Calarsi nelle fessure del possibile, provare a rientrare nelle più remote profondità di noi stessi, significa ritrovare un universo di parole e di suoni dimenticati. Significa ritrovare un’antica “Ave Maria”, che, riscoperta e riascoltata, può fare riemergere a nuova luce il senso smarrito della nostra unione e delle nostre promesse d’un tempo.
Non esiste nè esisterà mai un Amore che in qualche modo non si colleghi ad una musica che ne celebri la magica alchimia, o ne esalti la “nuzialità”. Ebbene, ritrovare questa eco nella profondità dell’anima e della memoria, rompendo il silenzio della incomunicabilità ; ascoltare insieme, riscoprire e rievocare la musica, o le musiche del nostro amore è un evento di grande portata balsamica. Una confortante e seducente sorta di “musicoterapia”. Perchè là dove la parola talvolta fallisce, la musica ha lo straordinario potere di ricongiungere e fondere in nuova armonia ciò che prima era separato e disperso.